Che palle lo psicodramma Nazionale

Suvvia, che sarà mai un mondiale di calcio?

 

Suvvia, che sarà mai un mondiale di calcio? Questa depressione nazionale per la brutta avventura brasiliana, questa metafora

Suvvia, che sarà mai un mondiale di calcio? Questa depressione nazionale per la brutta avventura brasiliana, questa metafora dell'Italia che finisce e si rispecchia nella sconfitta nel calcio, quella struggente nostalgia per la Nazionale di una volta...

Da bambino crebbi col mito rovesciato della Corea, che ci buttò fuori dai mondiali in Inghilterra, e poi ho visto una dozzina di campionati mondiali. Be', un paio furono gloriosi, un altro paio dignitosi, ma i due terzi si conclusero male, maluccio e malaccio. In un mare di polemiche. La Nazionale ha generato più illusioni e delusioni che trionfi e vittorie. Guardo il calcio come un ex tossicodipendente o un alcolista rinsavito. Un tempo amavo il calcio più di me stesso, sapevo del calcio più che della mia famiglia, deliravo e pativo. Ma uscii dal tunnel assai presto. Ora faccio parte di quei telepatrioti che vedono solo le partite della Nazionale.

Ho visto giocare nomi a me ignoti, mi divertiva scoprire che un calciatore si chiamava Immobile e alla fine fu più fedele al cognome che al ruolo. E mi impressionava vedere Massimo Cacciari in campo che lo chiamavano Pirlo. Il cronista non era Carosio né Martellini, e nemmeno quello nuovo, Pizzul, ma uno col tono fisso del rimprovero... Per il resto che noia, che brutto, che palle, in senso calcistico s'intende. Ora finiamola con la tragedia nazionale, abbiamo già troppi guai veri per piangere pure d'Uruguay. E dopo Prandelli? Ma che domanda, Renzi, l'acchiappatutto.

Se Napolitano non lo morde sul colle...

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